Cibo libero
Il 25 aprile è un giorno importante in Italia, è quello in cui si celebra l’anniversario della Liberazione, quello del giorno in cui l’Italia si ribellò all’occupazione dei nazifascisti.
Il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia il 25 aprile 1945 proclamava l’insurrezione invitando tutte le forze partigiane all’azione. Contrariamente a quanti molti credono, la guerra in Italia non si concluse il 25 aprile, i combattimenti durarono fino al 3 maggio e nel 1948 Alcide De Gasperi propose la data come festa nazionale.
Erano gli anni della Seconda Guerra Mondiale, la riduzione delle razioni di cibo aveva colpito tutta la popolazione e la quantità pro-capite era prestabilita e controllata. Questo diede inizio al fiorire del mercato nero, il prezzo di cibo elementare come il pane o la polenta era arrivato alle stelle. Allora ogni pasto era prezioso: pane nero, uova, gli scarti della carne. Oggi gli chef tendono a esaltare gli scarti, andando in una direzione volta a rivalorizzare il cibo e portando avanti la lotta agli sprechi. La situazione si è completamente ribaltata, in quegli anni gli sprechi non erano minimamente concepibili, al punto che le riviste dell’epoca spiegavano alle casalinghe come usare gli scarti in cucina. Non c’era il caffè, non c’erano banane, la politica di Mussolini – fortemente appoggiata dai futuristi – prevedeva surrogati, la battaglia del grano e l’idea che mangiare troppo equivalesse a derubare la patria. La partigiana Eletta Bigi, classe 1905, nome di battaglia “Sonia”, raccontava de “La pastasciutta del 25 luglio” ricordando la caduta di Benito Mussolini. Un grande fuoco e la pasta da cuocere dentro i bidoni del latte: “La gente usciva di casa con il piatto in mano”, e niente vino, solo acqua, “niente pane, niente dolce, la pasta e basta”.
“I cani randagi devono fare sogni simili, d’ossa rosicchiate e nascoste sottoterra” scriveva Italo Calvino. Rende bene l’idea della fame che la popolazione pativa all’epoca, in alcune zone l’alimentazione si basava su foglie e rape, i macellai andarono in crisi per la scarsità di sale e pepe, che non permetteva loro di conservare la carne più a lungo. Il sale veniva dato in cambio della consegna dei partigiani, c’erano saccheggi, segnalazioni. La fame porta paura, perdita di controllo, mancanza di lucidità. Il vino era l’elemento più facilmente reperibile, serviva a riscaldare e incoraggiare i partigiani, ed era anche una delle rare opportunità di ricreare dei momenti conviviali.
Benito Mussolini sognava per l’Italia l’autonomia economica, indicando il 18 novembre 1935 come una data di svolta. Il discorso sull’autarchia prevedeva anche il raggiungimento dell’autosufficienza alimentare. Tra i suggerimenti più diffusi c’era quello di preparare la maionese senza uova, un’idea che oggi a molti non apparirebbe così strana. Oggi “senza” è sinonimo di qualità superiore, di alimenti più sani e leggeri. Allora era l’unica opzione disponibile. I soldati mangiavano nelle gavette, le razioni di cibo organizzate, bevevano caffè liofilizzato, il vino a volte era la loro paga. Fu nel periodo della Seconda Guerra Mondiale che presero piede le cosiddette razioni K, i pasti militari a lunga conservazione, razioni non deperibili pronte al consumo, una garanzia per acquisire l’apporto nutritivo necessario. Ad oggi queste razioni sono fonte di grandi interesse tra i prepper. Le etichettature “senza” predono sempre più il sopravvento, gli alimenti arrivano da ogni parte del mondo e ognuno è libero di compiere una scelta in base alle proprie necessità e preferenze. “Quando c’è una guerra”, scriveva Primo Levi, “a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo luogo alla roba da mangiare; e non viceversa come ritiene il volgo. Perché chi ha scarpe può andare in giro a cercare da mangiare, mentre non vale l’inverso”. Il 25 aprile ogni anno è un invito alla riflessione, che dovrebbe andare oltre ogni retorica. E dovrebbe far pensare che non è così scontato sapere che anche il cibo è libero.
Foto di Federica Di Giovanni
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