Il processo di cambiamento
“Cambiare” è una necessità ma è anche una parola spesso abusata e sottovalutata, amata dai politici che raccontano i loro sogni di ribaltare le loro sorti promettendo sempre e solo una cosa: cambiamento, cambiamento e certezza che tutto cambi solo per diventare migliore. Certo, cambiare non significa andare sempre nella giusta direzione ma, ormai lo sappiamo, sbagliando si impara e alcuni errori potrebbero segnare la salvezza di qualcuno. Se non avessimo cambiato i nostri gusti, non ci sarebbe piaciuto il sushi, saremmo rimasti indifferenti alla scoperta della novità e avremmo apprezzato sempre e solo le stesse cose. Se non avessimo sentito il desiderio di cambiamento, non avremmo cercato altro, non saremmo stati curiosi, non avremmo scoperto nulla di nuovo e saremmo rimasti ancorati alle solite, vecchie, certezze. “Stasera basta con la solita capricciosa, la mangio da 15 anni, cambiamo!” – è così che deve essere andata quando quel tizio canadese ha inventato la pizza con l’ananas.
Cambiamento è trasformazione, senza di questa – che è un cambiamento più profondo e radicale – non potremmo diventare altro e, forse non ci avete mai pensato, ma non potremmo mangiare praticamente nulla. Perfino i crudisti hanno bisogno di trasformazioni, per quanto limitate, per consumare il loro cibo e queste trasformazioni arrivano da molto, molto lontano, la loro storia si perde indietro nel tempo. Non a caso, negli ultimi anni c’è stata una riscoperta e una rivalutazione della fermentazione, che è spesso il processo da cui nascono cibi e bevande di ampio consumo quotidiano, dal pane al vino passando a birra, formaggi e yogurt. La fermentazione è quel processo chimico da cui si formano i cosiddetti “batteri buoni”, che conferiscono un sapore diverso ai cibi che consumiamo e ne modificano le proprietà. Tra i cibi fermentati più celebri ci sono il kefir, nattō, kimchi, tè kombucha, tempeh, aglio nero e crauti. Negli ultimi anni la fermentazione è diventata così popolare e amata dagli chef più importanti al mondo tanto da avere avuto una rivista tutta sua (CURED) ed è utilizzata soprattutto nei paesi asiatici. Il re della fermentazione è probabilmente l’uovo centenario, prelibatezza della cucina cinese. Non lasciatevi ingannare, però, dal suo nome suggestivo: la sua fermentazione non dura un secolo ma è comunque piuttosto lunga. Dura almeno 100 giorni in cui l’uovo, preferibilmente di anatra, viene messo a fermentare con acqua, sale, carbone e ossido di calcio. Il suo albume diventa gelatinoso, dal colore ambrato, mentre il tuorlo diventa verde scuro. Il suo aspetto è tutto fuorché invitante ma è già da tempo considerato una vera e propria prelibatezza. I progressi della tecnica hanno portato a una revisione della ricetta che rende il procedimento più semplice ma il risultato non cambia. Il sapore dell’uovo pìdàn è molto forte, intenso e probabilmente non è per tutti i palati.
Cibo a parte, quando si parla di cambiamento, si parla di un processo del tutto naturale ma dal punto di vista psicologico non sempre così immediato, poiché è fortemente legato al concetto di identità. Tuttavia, ogni identità è fatta, oltre che di certezze e schemi comportamentali e cognitivi, anche di cambiamenti e trasformazioni, evoluzioni. Qualche volta anche di rivoluzioni. I tempi corrono e mentre corrono cambiano, cambiano le abitudini e le necessità, perché cambia il mondo intorno a noi, cambiano le stagioni, i significati e le percezioni, cambia la natura, cambiano l’offerta e la domanda, le direzioni, i paesaggi, i calzini, i paradigmi, tutto è destinato ad evolversi, nulla rimane immutato. Così è la vita.
That’s life,
that’s what people say
You’re riding high in April
Shot down in May
But I know I’m gonna change that tune
When I’m back on top, back on top in June.
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