Ai Wei Wei e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
Nel 1948, dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, gli Alleati firmarono a Parigi la Dichiarazione universale dei diritti umani. Si tratta di un documento di importanza storica, il primo in cui vengono sanciti i diritti che spettano ad ogni singolo individuo, in ogni parte del mondo. Ogni anno, il 10 dicembre, si celebra la giornata internazionale dei diritti umani, un modo per celebrare e ricordare l’importanza dell’argomento. Dalla data in cui è stata firmata la celebre dichiarazione è passato molto tempo, sono stati compiuti numerosi passi verso il miglioramento ma c’è ancora tanta strada da fare. Ancora oggi, infatti, molte persone non riescono a far valere questi diritti universali e le tematiche vengono affrontate in maniera diversa dai più svariati esponenti. Un esempio è senza alcun dubbio quello di Ai Wei Wei, l’artista cinese da sempre si batte per i diritti umani, usando la sua arte come strumento comunicativo.
Lui stesso ha dichiarato: “Sono soprattutto un artista per i diritti umani, sensibile alle diseguaglianze presenti nel mio Paese”. La Cina rimane uno dei casi più controversi in materia, Ai Wei Wei insieme alla famiglia ha vissuto gli orrori della Rivoluzione Culturale di Mao. Il padre, il poeta Ai Qing, era stato fortemente criticato per le sue idee politiche e per questo mandato nei campi di lavoro per vent’anni. Ai Wei Wei rende la sua lotta per i diritti umani non solo universale, ma anche attuale. Fino al 22 gennaio sarà possibile vedere la mostra “Ai Wei Wei. Libero” a Palazzo Strozzi e l’installazione di dieci sue importanti fotografie al Mercato Centrale Firenze; il suo arrivo in città ha suscitato clamore, soprattutto per l’installazione degli ormai celebri gommoni sulla facciata di Palazzo Strozzi. “Ogni migrante umiliato mi ricorda mio padre” ha dichiarato l’artista, che ora sta lavorando a un film in cui racconta l’odissea dei migranti, con l’intento di capire e mostrare la loro conduzione. In una delle sue opere Ai Wei Wei ha raccolto dei vestiti sulla spiaggia di Idomeni per poi esporli lavati e stirati, nel tentativo di interpretare e raccontare l’odierna odissea di migliaia di persone che sbarcano sulle nostre coste – e non solo – alla ricerca di un futuro più roseo.
Una componente ricorrente nell’arte di Ai Wei Wei è anche il cibo, soprattutto i semi di girasole. “Quando ho lottato per i diritti umani in Cina ho lottato affinché venissero rispettati ovunque. La lotta per i diritti umani è universale” – queste le sue dichiarazioni rilasciate a Repubblica. Simbolo della povertà e della conduzione del popolo cinese, i semi fanno la loro comparsa in più occasioni. Nel 1983 in “Profilo di Duchamp, semi di girasole“, una gruccia segna il profilo del pittore francese, il cibo simboleggia la fascia di popolazione più povera della Cina. Da quel momento diventa un elemento simbolico ricorrente, ma Ai Wei Wei si è battuto su altri fronti, anche per portare il pubblico a una rivalutazione, a una riscoperta dell’artigianato cinese e in particolare dei maestri della porcellana. L’industria di massa cinese che conosciamo oggi è stata spesso criticata proprio in materia di diritti umani, un attivista come Ai Wei Wei vuole però mettere in luce anche altri aspetti dell’artigianato del suo Paese controverso. Lo fa nell’ambiziosa installazione “Sunflower seeds“, allestita alla Tate Modern di Londra nel 2010: una distesa di 100 milioni di semi di girasole, sparsi per la Turbine Hall. La notevole opera è stata realizzata in sei mesi, coinvolgendo 1600 artigiani di Jingdezhen, a sud della Cina. Tutti i semini sono di porcellana, sono stati modellati e dipinti a mano.
I semi di girasole ritornano anche nella favicon del sito ufficiale di Ai Wei Wei, sono il simbolo di milioni di cinesi vittime delle carestie provocate dalle riforme di Mao Zedong, erano il nutrimento dei più poveri durante la Rivoluzione Culturale. Inoltre in Cina è molto diffusa l’abitudine di sgranocchiarli, il riferimento è diretto anche allo stesso Mao, il dittatore che si identificava nel sole, mentre il suo popolo era rappresentato dai girasoli. I messaggi che Ai Wei Wei riesce a trasmettere con un solo, minuscolo, oggetto sono molteplici: i semi rappresentano la scadente produzione seriale cinese oggi a tutti nota, in contrapposizione agli antichi fasti dell’artigianato tradizionale. Grazie all’installazione di cui sopra, gli artigiani che hanno lavorato hanno ricevuto un salario più alto rispetto agli standard del Paese. L’artista si è avvalso di loro per “He Xie” (2011) ancora una volta (come per The Wave del 2004, Free Speech Puzzle del 2014 e Blossom del 2015) per produrre delle opere di porcellana. In questo caso si tratta di granchi di fiume, fedelmente riprodotti al punto da sembrare reali, che sono strettamente legati a un episodio chiave del lavoro dell’attivista. Nel 2008 iniziò la costruzione di uno studio a Shangai, ultimato nel 2010 e demolito l’anno successivo dallo stesso governo municipale che lo aveva commissariato, la giustificazione era che non ci fossero i permessi necessari. Il 7 novembre Ai Wei Wei via internet, un potente strumento di comunicazione per la sua arte e il suo attivismo, aveva invitato la gente a partecipare all’ultimazione/demolizione del suo studio. 800 ospiti che mangiavano granchi di fiume al party a cui l’artista di fatto non ha mai partecipato, perché messo agli arresti domiciliari a Pechino. La parola “He Xie”, che suona come “armonia”, è uno slogan del Governo ma ha nuova vita e nuovo significato su internet, diventando il corrispettivo di “censura”, quella subita da Ai Wei Wei da parte del Governo.
“Souvenir da Shangai” mostra quello che Ai Wei Wei è riuscito a raccogliere dopo la demolizione del suo studio. L’artista ha raccolto e portato con sé alcune delle macerie per realizzare una delle sue opere, incastrando i mattoni con il telaio di un letto della dinastia Qing. “S. A. C. R. E. D.” (2013) è un’altra opera in cui l’artista vuole racchiudere tutti gli stati d’animo e le attività vissuti durante il suo periodo di detenzione in casa. La “S”, per esempio, sta per “supper”, la cena. Durante quel periodo Ai Wei Wei fu sottoposto a rigidi controlli da parte delle autorità. In “@Large” (2014) vediamo un’installazione con cucine solari e bollitori allestita nella prigione di Alcatraz a San Francisco: una prigione è già piuttosto simbolica, la ristrettezza degli spazi rende il tutto ancor più claustrofobico, in più l’opera ha le sembianze di un’ala rimasta ancorata al terreno nonostante i tentativi di librarsi nell’aria, il risultato di una libertà oppressa. Attraverso le sue opere e al suo continuo contributo attraverso i social, Ai Wei Wei si pone tra gli artisti più sensibili sulla tematica della violazione dei diritti umani, l’arte aiuta ad aprire gli occhi su realtà che non sempre siamo portati a contemplare e a vedere concretamente.
Ogni giorno migliaia di persone in tutto il mondo vedono svanire la loro libertà, i loro diritti umani vengono calpestati. In un mondo in cui i poveri diventano sempre più poveri, sorgono nuove problematiche, i dilemmi e i problemi etici si fanno sempre più ampi. Il 10 dicembre diventa un’occasione in più per la sensibilizzazione su queste tematiche e per ricordare quei 30 articoli che sanciscono i diritti di ognuno di noi, quelli che troppo spesso dimentichiamo. La cultura e l’educazione sono alla base della costruzione di un individuo cosciente e consapevole. Come recita l’articolo 19, “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione“, “alla sicurezza sociale” (art. 22), “al lavoro, alla libera scelta dell’impiego” (art. 23) e, citando l’articolo 26: “L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace“. Viviamo in un mondo dove ancora tutto è possibile, anche la libertà.
Foto di Federica Di Giovanni
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