Cibo non significa nulla
Cosa significa cibo? Si può mangiare, si può pensare, si può creare, può essere per il corpo, lo spirito, la mente, cibo di strada, cibo stellato, cibo avariato.
L’argomento si sarebbe potuto discutere nei primi decenni del Novecento in quel di Zurigo, al Cabaret Voltaire frequentato da Tristan Tzara e i suoi amici intellettuali, artisti, più o meno politicizzati. E oggi? Il dadaismo è morto oppure no? Difficile dargli una collocazione, sebbene una connotazione ce l’abbia. Il dadaismo è tutto è niente, è morto e risorto, si plasma. Nel 1924 prendeva la forma del surrealismo, poi è diventato neo-dada, ha influenzato quella che sarebbe diventata pop art, lo ha preso in prestito John Cage e anche George Maciunas per il movimento Fluxus, si è fatto abbracciare anche dall’arte atipica di personaggi come Yoko Ono, oggi dada può essere ovunque, basta cliccare sull’hashtag #foodporn su Instagram. O andare su Tumblr a vedere le opere ironiche e sarcastiche di Dan Cretu, immagini in cui la carne diventa frutta, le convenzioni si abbattono, qual è il confine tra dada e non-dada?
Marcel Duchamp ha dato un suo contributo importante, con l’arte del ready-made avviata nel 1913, che si è impossessata perfino dello spirito del jazz. Tra gli artisti dada figura anche il nome di Salvador Dalì e il cibo è una componente che viene sfruttata – ed è ovvio che sia così – nella maniera più insolita che si possa immaginare. Come un’aragosta che diventa una cornetta del telefono o l’uovo, elemento fortemente simbolico, che ricorre più d’una volta nelle sue opere. Come un’anguria rossa e succosa che richiama la vitalità, la freschezza della vita di Frida Kahlo, ormai giunta al capolinea. L’artista messicana non si può collocare direttamente nella corrente dadaista ma le angurie di “Viva la vida” sono la sua ultima dichiarazione d’amore all’esistenza, che pure per lei tutto era stato tranne che facile. Le sue ultime parole sul suo diario furono “spero di non tornare mai più”, tra un colpo e l’altro tuttavia Frida Kahlo era riuscita a riempire la sua realtà, a renderla colorata e succosa, come il frutto dipinto nella sua ultima opera. Inoltre l’artista messicana era una grande amante della cucina, famosi sono i suoi banchetti, tra cui quello delle nozze con il grande amore Diego Rivera, in cui campeggiavano zuppa di ostriche, riso e banane, mole nero, sempre fedelissima alla tradizione messicana, specie quella preispanica. Tra i suoi tanti amanti, uomini e donne, oltre alla figura di Trockij spiccava quella del poeta Andrè Breton, ideatore del manifesto surrealista che spazzò via una volta per tutte gli ideali di Tzara, portandoli al livello successivo. Come già detto, però, il dadaismo non se n’è andato mai del tutto, tra gli esponenti della sua versione rinnovata ci sono Claes Oldenburg, Jasper Johns e Jim Dine, inoltre in Svizzera gli omaggi continuano a perdurare nel tempo con cocktail ad hoc per omaggiare il movimento. Il Dada Century Cocktail dell’Hotel Marktgrasse (assenzio della Val de Travers) e Swiss Dada Tonic dell’Hotel Ambassador sono tra i più celebri. Una delle cose più dadaiste che si possano fare in cucina, è preparare piatti con ingredienti che non siano cibo. Per esempio seguendo il consiglio “prendere le olive. Buttarle via” o preparare arte che sia letteralmente da divorare, simbolica ma da consumare. C’è solo da lasciare correre la fantasia e, come già detto, ogni piatto può diventare dada – poi i gusti sono soggettivi – e, ciò nonostante, lo troviamo sempre assai simpatico.
Foto di Federica Di Giovanni
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