Divorare con lentezza
“Binge”, tradotto letteralmente, significa “abbuffata”. Si usa con accezione negativa con riferimento ad un’attività che viene svolta in maniera estrema e generalmente si tratta di bere o mangiare. In italiano, quando parliamo di binge watching, parliamo spesso di maratona televisiva, che ha un’accezione meno negativa e non rende abbastanza il concetto, la presenza di una linea sottile che ci separa dalla patologia. Questo neologismo ha una storia che non ha nulla a che vedere con la televisione, infatti arriva dalla fine dell’Ottocento. Si usava per dire “mettere in ammollo” o “bagnare”, in riferimento alla frase “to soak a wooden vessel”, ovvero lasciare in legno in ammollo per prevenire delle perdite. Dal periodo della Prima Guerra Mondiale in poi, il termine binge è stato utilizzato per riferirsi all’alcol e quindi al binge drinking e, in seguito, soprattutto dalla fine degli anni Cinquanta, all’alimentazione.
Il Binge Eating Disorder (BED) è il cosiddetto Disturbo da Alimentazione Incontrollata. Spesso viene confuso con la bulimia nervosa ma ci sono diversi fattori che li rendono diversi tra loro. Ciò che li accomuna è, invece, il fatto che chi soffre di questo tipo di disturbi, molto spesso tende a vergognarsene e a non parlarne. Il binge watching, a differenza degli altri tipi di binge, che invece riguardano l’alimentazione, nonostante conservi un termine dalla connotazione negativa, è un fenomeno molto pop ma anche pericolosamente sottovalutato. A rendere popolare questo fenomeno sono state in primis le piattaforme di streaming, come Netflix e Amazon Video. Gli effetti collaterali, ovviamente, non sono paragonabili tra i due tipi di binge ma c’è chi si ritrova, proprio come nel caso dei disturbi alimentari, ad essere intrappolato in un sistema dal quale fa molta fatica ad uscire.
Divorare con cautela
Non si può parlare di una vera e propria collocazione storica di questo fenomeno, le “abbuffate” televisive e cinematografiche esistono da tantissimo tempo. Hey, fan di “Star Wars”, ci sentite? Stiamo parlando anche di voi.
L’obiettivo del binge watching, nella maggior parte dei casi, è quello di finire un’intera stagione di una serie nel minor tempo possibile. È proprio il motivo per cui Netflix ha avuto un successo incredibile: perché aspettare settimane, mesi, per vedere come va a finire? Nell’era in cui tutto è fast, l’attesa è un lusso che in pochi si concedono. Non vale più “l’attesa del piacere è essa stessa il piacere”, come recita l’aforisma reso celebre da una vecchia pubblicità. L’idea di attesa, oggigiorno, crea quasi un senso di fastidio: è stato mozzato quell’arco temporale che lascia spazio alla riflessione, al quesito e anche a quel pizzico di sana fibrillazione, soprattutto quando il cliffhanger è di alto livello. Vale lo stesso al di fuori degli schermi: quando ci troviamo al tavolo di ristorante e il piatto ci mette troppo a uscire dalla cucina, quando una fila dura più di quanto avessimo previsto, il pacco che hai ordinato arriva con un giorno di ritardo. Tutto deve correre velocemente, ma è davvero perché non abbiamo più tempo per aspettare? Se dovessimo guardare i contatori dei nostri social (sì, esistono) o contare le ore che passiamo a guardare le serie tv, la risposta sarebbe diversa da quella che ci diamo di solito. In Corea del Sud, per esempio, si è intensificato il fenomeno che prende il nome di snack culture, vale a dire il consumo compulsivo e rapido di contenuti multimediali, direttamente dallo schermo dello smartphone. La soglia dell’attenzione – e questo rischio riguarda anche il binge watching nella sua accezione più “classica” – si abbassa notevolmente. L’accesso è rapido, immediato, i contenuti vengono semplificati in maniera eccessiva, diventando sempre più usa e getta. La soglia dell’attenzione si è abbassata a tal punto da andare ad influenzare il mondo dell’advertising, portando le agenzie ad escogitare metodi sempre più originali per riuscire a catturare l’attenzione degli utenti. Su tutti, nuove forme di product placement: sempre più subdole, per spettatori sempre più ignari.
Dove, quando e come ha avuto inizio il binge watching?
Nel 2015 “binge watching” è stata dichiarata parola dell’anno dal dizionario Collins, che in quell’anno aveva riscontrato un incremento del suo utilizzo del 200% (!). Come tutte le cose, anche il binge watching ha i suoi pro e i suoi contro. Il fenomeno è stato agevolato da un notevole incremento della qualità delle produzioni (a volte altalenante, ma quasi sempre medio-alta), innalzandole ad un livello molto simile a quello cinematografico e che ha contribuito, in un certo modo, a rendere il palato dello spettatore più raffinato. Di contro, si rischia di guardare ciò che si ha davanti (e questo accade spesso) in modo superficiale, perché non si ha (o meglio, non ci si concede) il tempo di assorbire e gustare tutti i dettagli, imparando a riflettere su ciò che si vede, assaporandolo come se fosse una portata molto speciale. Il 2013 è considerato l’anno per eccellenza del binge watching, quello in cui Netflix ha rilasciato alcune delle sue serie più importanti: “House of cards” è considerata l’apripista, seguita da “Orange is the new black”. Tra le serie che scatenano il binge watching non possono di certo mancare “Il trono di spade” o “Breaking Bad”, “The Office” e “The Big Bang Theory”. Com’è possibile che, una volta iniziato, uno non riesca a smettere di guardare un episodio dietro l’altro? Di fronte allo schermo e alla storia giusta, lo spettatore si rilassa e vuole prolungare il suo stato di piacere il più a lungo possibile.
Quali sono le implicazioni negative? Molto spesso il fenomeno del binge watching viene associato a stati di ansia e depressione, ma comporta anche obesità e questo accade per due motivi ben precisi: scarsità – o addirittura assenza – di attività fisica e il cosiddetto mindless eating, ovvero il mangiare distrattamente snack e altre cose poco salutari. I popcorn sono il simbolo dello snack da mangiare al cinema o proprio in occasione delle maratone. E diventano, insieme ad altri snack che si possono trovare nelle sale o banalmente nelle dispense, l’emblema di questo modo di mangiare. Si mangia distrattamente, senza rendersi conto delle quantità di cibo che si consumano. Quando si guardano film e serie tv, generalmente ciò che si mangia e si beve è tutto ciò che può rientrare nella categoria del junk food. Ecco perché il binge watching ha effetti collaterali anche sulla salute fisica.
Nel 2014 Netflix ha effettuato un sondaggio dal quale è emerso che per il 73% degli utenti il binge watching corrispondeva a guardare tra i 2 e i 6 episodi di seguito di una serie. Per altre persone corrisponde a un’intera stagione, vale a dire maratone che superano anche le 10 ore consecutive. Le prime maratone risalgono agli anni Settanta e Ottanta, quando Netflix non esisteva e c’erano le VHS. Molti canali televisivi organizzavano delle vere e proprie maratone, una delle prime è stata quella di “Donna Reed” o quella di “Route 66”. Molto spesso questo accade in previsione dell’uscita di nuove stagioni di serie o nuovi film: sta per uscire, per esempio, l’ultimo di Tarantino e si guardano tutti i film precedenti o David Lynch tira fuori dal cilindro una nuova stagione di “Twin Peaks”, perché non rinfrescarsi la memoria guardando i vecchi episodi dopo 25 anni? L’idea delle maratone televisive è stata presa in prestito dalla radio da Alan Goodman e Fred Seibert, pensando a quando i brani più amati venivano proposti in maniera ripetuta e per lungo tempo, per la gioia degli ascoltatori. In generale, una maratona, per essere considerata tale, consiste nel guardare almeno cinque episodi consecutivi. Roba da dilettanti, se uno pensa già solo a guardare gli speciali di Halloween e Natale di tutte le stagioni de “I Simpson”. A lungo sono stati proprio loro a detenere il primato nel mondo delle maratone tv, poi battuto nel 2015 dalla maratona del Saturday Night Live, organizzata in occasione del quarantesimo compleanno dello show. Oggi il mercato è diverso e sicuramente saturo, ma alcune propensioni non sono cambiate.
Dagli anime giapponesi ai cofanetti di DVD delle serie televisive – di cult come “Lost” – il salto è stato breve. Uno dei motivi per cui molte piattaforme hanno poi deciso di seguire l’esempio di Netflix, rilasciando intere stagioni e abbattendo le pause normalmente dettate dai palinsesti, è stato reso chiaramente da Kevin Spacey. Il protagonista di “House of Cards” aveva spiegato, infatti, che rilasciando un’intera stagione era molto meno probabile che si verificasse un altro fenomeno, quello della pirateria. Le piattaforme, tramite i loro algoritmi, riescono a studiare le abitudini degli utenti, prevedendone le mosse e mettendoli nella condizione di non dover nemmeno fare lo sforzo di scegliere quale sarà la prossima cosa da guardare. Attraverso i dati a loro disposizione, Netflix e derivati possono adottare delle strategie ben precise, scatenando proprio una sorta di dipendenza, quella voglia di tornare a guardare e la sensazione di non poter più fare a meno di quel prodotto.
Mai sottovalutare il potere della pressione sociale
Hai visto questo meme? Come fai a non cogliere la citazione? Ma davvero hai visto ancora solo due episodi? Impossibile che tu non l’abbia già finita! Meme, spoiler, discussioni tra gruppi di amici: è sottile ma c’è, la pressione sociale nei confronti di chi non ha ancora visto la serie tv più in voga. La velocità con cui i prodotti vengono sfornati e la rapidità con cui vengono consumati, crea una sorta di ansia che viene sottovalutata e che mette un individuo nella condizione di sentirsi in difetto per non essere rimasto al passo con il resto del gruppo – e del mondo. Succede, in particolare, con serie che diventano dei veri e propri fenomeni di massa, come “Il trono di spade”, “Breaking Bad” o “Stranger Things”. Se non l’hai visto, sei automaticamente fuori dalla conversazione.
C’è, invece, chi paragona le maratone di serie tv alla lettura di un libro, sostenendo di ricavarne lo stesso piacere. Si tratta di una preferenza molto soggettiva ma rientra senza dubbio tra i pro il fatto che molte serie famose hanno allargato il bacino di lettori di alcune opere letterarie, com’è successo per “Il racconto dell’ancella” (The Handmaid’s Tale) e “La regina degli scacchi” (The Queen’s gambit).
(Non) facciamone un dramma
Ci sono casi di gente che si è dovuta curare perché “malata di serie tv”? Sì. Non è più una definizione che si può usare solo per definirsi dei veri appassionati, c’è davvero chi ha sviluppato una dipendenza. All’inizio del 2020 almeno tre persone nel Regno Unito sono state ricoverate in una clinica privata a Londra. Uno di loro, un uomo di 35 anni, aveva messo a rischio la sua carriera perché la sua dipendenza per le serie tv aveva preso il sopravvento. Ormai incapace di gestire il suo problema, l’uomo trascorreva più tempo a guardare gli episodi delle sue serie preferite che a lavorare. Questo è già piuttosto grave, senza contare tutte le altre conseguenze psicofisiche. Diversi studi hanno provato che gli effetti collaterali principali si riscontrano sulla qualità del sonno. Spoiler: sono negativi. Guardare troppe serie tv, per tempi prolungati, aumenta il rischio di insonnia e il senso di stanchezza. Spesso e volentieri, pur di arrivare alla fine, si stravolgono gli orari, si perde la cognizione del tempo. Esiste, a tal proposito, la versione “pro” del binge watcher. È il binge racer, ovvero chi guarda un’intera stagione in un massimo di 24 ore.
Qualcuno, erroneamente, associa la dipendenza da serie tv e film alla figura degli hikikomori. In Italia se ne parla relativamente da poco, anche perché a lungo è stato considerato un fenomeno esclusivamente giapponese. Si tratta di quelle persone, in prevalenza maschi adolescenti, che decidono di isolarsi dal resto del mondo, vivendo chiusi nella propria stanza per mesi e, nei casi ancora più estremi, anni. Il consumo sregolato di internet e la visione di serie tv ai limiti della compulsione non rende hikikomori ma è una conseguenza di questa condizione. Basta immaginare il momento storico che stiamo vivendo e come sono cambiate le abitudini da quando siamo entrati in lockdown, lo scorso marzo. La maggior parte delle persone ha dedicato ancora più tempo alla tv, per tenere impegnate le giornate da trascorrere – in questo caso in modo forzato e non volontario – in casa nella maniera più piacevole possibile. La gratificazione, con il binge watching, è istantanea. Gli studi in materia non mancano, ma sono in continua evoluzione. Ciò non esclude che alcuni degli effetti collaterali siano già piuttosto evidenti e uno di questi è il “post binge watching blues”, così com’è stato definito dal New York Times. Si tratta di quel senso di ansia e tristezza, quasi di smarrimento, quando si arriva alla fine di una stagione o, ancora peggio, alla conclusione definitiva di una serie. Se dite che non vi è mai successo, state mentendo spudoratamente.
Ma insomma, il binge watching fa bene o fa male?
Molti binge watcher sostengono di provare un vero e proprio bisogno di arrivare subito alla conclusione della stagione, senza poter più aspettare. Durante il lockdown l’esistenza di tutte le piattaforme è stata quasi salvifica, nella vita di tutti i giorni guardare le serie con la stessa frequenza invece si rivela un rischio per molti. Tutto, come al solito, dipende dalla prospettiva. Non c’è, quindi, una risposta univoca o semplice a questo tipo di domanda. Alcuni fattori, come la passività dello spettatore, l’ansia di essere esclusi dalle conversazioni o di dover sapere subito come va a finire, di certo non sono dei pro. L’idea di poter avere uno scambio di opinioni con altre persone, di condividere contenuti anche con gli affetti distanti e che la visione di questi prodotti possa diventare una forma di scambio culturale, è un pro. Si abbatte il limite spazio-tempo: si possono guardare in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento, basta averle scaricate o avere una buona connessione. La maggior parte degli utenti sostiene di fare binge watching per ridurre lo stress: le serie tv sono un rifugio sicuro e allo stesso tempo un’evasione. L’esperienza immersiva che si vive guardando più episodi di seguito, è uno dei principali motivi per cui si fa questo. Alcuni scienziati hanno riscontrato un continuo flusso di dopamina nel cervello, ovvero quello stato di piacere a cui non si vuole rinunciare o che si vuole rivivere il prima possibile. È quella linea sottile tra divertimento sano e cattive abitudini che, si sa, sono poi le più dure a morire. Se il binge watching assorbe a tal punto da escludere ogni rapporto sociale, diventa contro. L’obiettivo, in fin dei conti, è fare tutto con cognizione di causa e promettere a se stessi di non diventare mai quello che gli americani chiamano couch potato.
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