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Il dilemma dell’avocado

Postato il 12 Agosto 2019 da Elide Messineo
Il Super Bowl, la finale di campionato della National Football League, si tiene ogni anno tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. Attira l’attenzione di milioni di spettatori, tanto da non avere rivali in quanto ad ascolti tv. I brand più importanti fanno di tutto pur di accaparrarsi uno spazio all’interno del Super Bowl, che ormai non può più essere considerato semplicemente un evento sportivo. Nel 2019 gli spettatori dell’evento-fenomeno hanno consumato quasi un milione e mezzo di alette di pollo, hanno speso milioni di dollari in formaggio, pizza, patatine, fiumi di birra. Di tutti i milioni spesi dagli spettatori del Super Bowl, quasi sessanta sono stati spesi in avocado, molto spesso nella sua forma più apprezzata: il guacamole.

La storia dello stretto legame tra avocado e Super Bowl è partita con una sapiente operazione di marketing. Il frutto ha iniziato a fare il suo ingresso nelle case del pubblico statunitense attraverso lo schermo della tv: i giocatori della NFL e le loro famiglie gustavano le loro chips con il guacamole, solo a vederla la celebre salsa messicana faceva venire l’acquolina in bocca. Mettici una declinazione infinita della ricetta, la versatilità stessa del frutto, ed ecco come l’avocado è diventato praticamente il simbolo del Super Bowl. Il “monopolio”, in occasione della manifestazione sportiva, oggi è detenuto da Avocados from Mexico che, in un mare di alette di pollo unte e altro junk food, sottolinea sempre di come l’avocado sia senza dubbio più sano rispetto a tutto il resto. Il frutto ha attraversato diverse fasi di popolarità, nonostante sia conosciuto fin da tempi antichi. Negli anni Sessanta era un vezzo che solo in pochi potevano permettersi per preparare piatti stravaganti, poi accantonato nel periodo della mania salutista degli anni Ottanta per il suo apporto calorico. Il vero boom dell’avocado si registra però in questi anni: dal 2017 in poi la moda di consumare questo frutto in tutte le varianti possibili è dilagata, con effetti che non erano stati presi in considerazione prima di allora.



The dark side of the avocado: l’oro verde

Superfood apprezzatissimo dalle nuove generazioni, l’avocado viene sempre presentato come un’alternativa sana e appetitosa rispetto agli snack che si possono trovare in giro. Contributo non da poco, in questo nuovo food trend, che deriva sicuramente dalla cultura hipster, con preparazioni a volte sopra le righe, ma sempre intriganti. Osservando il fenomeno da vicino si osserva, tuttavia, che il successo dell’avocado ha due facce. Se da una parte apporta benefici – e non solo dal punto di vista nutritivo – dall’altra può provocare importanti danni. Se ne discute sempre più spesso ultimamente, le piantagioni di avocado stanno creando problemi consistenti nei paesi che ne producono in maggiore quantità, come il Messico, il Perù e il Cile. Al mondo esistono dozzine di varietà di avocado, anche se la più popolare è diffusa è la Hass – che prende il nome dal suo inventore.

In Tanzania l’avocado è da considerarsi il responsabile della ripresa economica del Paese. Il valore del frutto è molto alto e crea profitto per gli agricoltori. Molti di loro, per questo motivo, hanno scelto di convertire a piantagioni di alberi di avocado quelle che prima erano destinate al caffè. Il mercato europeo viene rifornito di avocado principalmente dai Paesi del Sud America e la Tanzania si sta lentamente ritagliando uno spazio. Gli agricoltori vengono istruiti sui metodi migliori di coltivazione, su tutti prediligono la tecnica del mulching, che prevede l’arricchimento del suolo lasciando i residui vegetali alle radici degli alberi. Questa tecnica aiuta a trattenere meglio l’acqua – e un albero di avocado ne richiede tantissima –, migliorando anche la fertilità del suolo. La prossima frontiera per il mercato tanzaniano potrebbe essere la Cina, che da qualche anno ha iniziato ad apprezzare moltissimo il frutto e che lo sta importando principalmente da Messico e Cile. La Tanzania, inoltre, si sta specializzando nella varietà gem, che segue una stagionalità diversa rispetto alla concorrenza e che per questo potrebbe garantire una copertura estesa per tutto l’anno. È considerata, infatti, una varietà che diventerà più popolare della Hass nei prossimi anni. La Tanzania, come il Messico, il Cile e il Perù prima, non ha fatto però i conti con le conseguenze di queste coltivazioni intensive. I rischi per l’ambiente sono molteplici, tralasciando per il momento l’impatto sociale. Da diversi anni vengono fatti appelli volti a sensibilizzare il pubblico sul tema. La crescente e insaziabile domanda di avocado negli USA (e poi in Europa) ha innescato un pericoloso processo di deforestazione in Messico, soprattutto nell’area di Michoacán, dove si concentra la produzione di avocado. Gli agricoltori, vedendo le opportunità di profitto, hanno deciso di convertire le loro piantagioni: intere foreste di pini e abeti sono state distrutte per lasciare spazio a frutteti di avocado. Deforestazione significa modificare un intero ecosistema, intaccandone e riducendone la biodiversità, ma significa anche contribuire al drastico cambiamento climatico che sta avvenendo sotto i nostri occhi. La catena di produzione di questo frutto intacca l’ecosistema fin nel profondo, a partire dalle falde acquifere. L’albero di avocado, per restituire frutti grossi dalla polpa burrosa e gustosa, necessita di grandi quantità d’acqua: duemila litri per un chilo di avocado. A causa di una crisi di siccità, gli agricoltori della provincia di Petorca in Cile (terzo paese produttore al mondo) si sono collegati illegalmente ai corsi d’acqua pur di non rinunciare ai loro profitti. Le conseguenze ci sono state su tutta la linea e soprattutto a discapito della popolazione locale, che via via sta abbandonando la zona. L’acqua non è più disponibile per chi vive lì, viene consegnata dai camion statali e quasi sempre non in condizioni ottimali. Più volte è capitato che dei cittadini si ammalassero a causa del liquido contaminato. Oltre a quella che di fatto è una violazione dei diritti umani, si apre qui un’altra parentesi, quella agli interessi economici che ruotano attorno ai fornitori di acqua. Il giro d’affari dell’avocado, quindi, ha creato un vero e proprio problema sociale, generando uno svuotamento socio-culturale causato dalla siccità. Nella maggior parte dei casi, oltre a un individualismo collettivo fuori controllo, si accompagna la continua violazione di altre leggi che, almeno in teoria, regolamentano lo sfruttamento del suolo e tentano di contenere le conseguenze negative. Buona parte degli ettari di foresta abbattuti nello stato di Michoacán facevano parte di aree protette. Sebbene esistano delle leggi chiare in materia, latita chi dovrebbe vigilare per farle rispettare. In Messico infatti, come se il problema della deforestazione non fosse sufficiente, si riscontra l’intromissione dei cartelli della droga. Il frutto, per via del suo valore e degli alti profitti che permette di registrare, è stato ribattezzato “oro verde”. Per i narcos è un mercato estremamente redditizio e questo, ça va sans dire, penalizza notevolmente le popolazioni locali. Da qualche tempo, quindi, i rischi per l’ambiente sono noti e molti ristoranti e bar che utilizzavano il frutto perché considerato trendy, hanno deciso di fare marcia indietro. Nel Regno Unito alcuni locali cercano di sensibilizzare il pubblico ad un consumo consapevole, al rispetto della stagionalità e al supporto delle condizioni economiche e lavorative delle popolazioni autoctone. Nel caso del Messico, molto spesso i contadini subiscono estorsioni dai narcos, poiché il valore dell’avocado ha superato quello della marijuana.

Le coltivazioni di avocado hanno preso piede, da circa quindici anni, anche in Sicilia e si stanno estendendo alla Calabria. Il clima sempre più tropicale, infatti, sta permettendo alle regioni del Sud Italia di coltivare frutti che prima d’ora non avrebbero mai attecchito: il lato positivo del cambiamento climatico, se così si può definire. La richiesta di frutta esotica in Italia è in costante aumento, tanto che l’avocado dal 2018 è entrato anche a far parte del paniere ISTAT. L’innegabile apporto economico di coltivazioni simili per il Mezzogiorno risolleva la questione, soprattutto se si pensa alle realtà sudamericane. Una consapevolezza solida di tutti gli aspetti – non solo economici – di questo tipo di commercio può sicuramente aiutare a prevenire danni ingenti, all’ambiente e alla popolazione locale. Un sondaggio svolto da Coldiretti-Ixè ha riportato che il 61% degli italiani è disposto a pagare di più per un prodotto locale; quello che sembra un aspetto positivo potrebbe iniziare a suonare come un segnale d’allarme? Solo fin quando si chiuderanno gli occhi a favore del profitto economico. Esistono, tuttavia, delle realtà che cercano di lavorare nel rispetto della sostenibilità ambientale e sociale. La compagnia olandese Nature’s Pride ha fatto di questa filosofia il suo punto di forza. L’Olanda, inoltre, insieme alla Spagna è il principale punto di arrivo degli avocado dal Sud America. Tre ragazzi italiani (Alessandro Biggi, Francesco Brachetti, Alberto Gramigni) hanno riscosso un enorme successo a New York, proprio grazie all’avocado. Nel pieno del boom hipster e dell’avocadomania, hanno aperto l’Avocaderia, lanciando il trend degli avocado bar, che da Brooklyn si sono presto diffusi in tutto il mondo. L’idea ha iniziato a prendere piede principalmente come alternativa “light” alla normale alimentazione americana, i tre giovani imprenditori hanno scelto di utilizzare esclusivamente avocado provenienti dal Messico, coltivati in aziende che rispettino il territorio e l’ambiente.



Da Rudolph Hass all’avolatte

La conseguenza dell’immane richiesta di avocado e l’impennata del suo prezzo è stato un rincaro dei menu dei ristoranti, al punto che alcuni hanno perfino scelto di eliminarlo dai prodotti utilizzati in cucina. Negli USA si è passati da un consumo di 0,5 kg pro capite di avocado nel 1989 a 3 kg nel 2016, uno dei motivi ha a che fare con le catene di fast food. Il cambiamento economico nel caso dell’avocado si nota anche in quest’ambito: il 31 luglio gli USA celebrano l’avocado day e molte catene ne approfittano per aumentare l’affluenza offrendo guacamole gratis. Il costo dell’avocado è aumentato (dell’80% negli USA rispetto allo stesso periodo lo scorso anno) al punto che alcune catene hanno deciso di non offrirlo più gratis, scatenando una marea di polemiche che non fanno altro che sottolineare la totale disinformazione (o l’egoismo) del pubblico. L’avocado non è mai stato più famoso di così, anche se ha un trascorso particolare, soprattutto negli USA. Nel 1914 fu bandita l’importazione di avocado dal Messico, i contadini statunitensi ne approfittarono per risollevare le sorti delle loro famiglie: il frutto tornò sul mercato americano, ma come bene di lusso. L’Avocado Grower Exchange si è battuta contro l’utilizzo del nome penalizzante di “alligator pear”, riferito alla buccia del frutto e alla sua forma. Il richiamo allo spaventoso rettile non rendeva il frutto particolarmente allettante, mentre il nome “avocado” ha contribuito a cambiare le carte in tavola. Hanno contribuito, nel tempo, anche riviste come Vogue, che lo hanno inserito tra i beni di lusso, rendendolo ufficialmente un frutto “cool” in tempi non sospetti.

Nel 1925, poi, arrivò l’idea di Rudolph Hass. Tra le tantissime varietà esistenti del frutto, la Hass è sicuramente la più popolare e quella che è stata replicata di più, dalla California alla Tanzania. Nel ’25 Rudolph Hass aveva 33 anni, consegnava la posta a Pasadena e aveva una numerosa famiglia da mantenere. Dal Wisconsin era arrivato in California inseguendo il sogno americano, per poi scoprire che lo stipendio di 0.25$ all’ora non era sufficiente a mantenere una famiglia. Dopo aver letto un articolo di giornale che elogiava le proprietà dell’avocado e il suo valore economico, mostrando un albero dai cui rami spuntavano banconote, Hass decise di darsi alla botanica. Comprò un terreno a La Habra Heights, con i pochi risparmi messi da parte e il supporto della sorella, coltivando la varietà Fuerte e affrontando tutte le complicazioni del caso. Dai vari innesti (e un seme già “fortunato”) nacque finalmente un frutto che conquistò il palato dei figli di Rudolph e anche quello dei suoi colleghi. Per testarlo, infatti, l’uomo iniziò a venderlo ad una cerchia ristretta di persone: cinque frutti per un dollaro, un vero affare! La Model Grocery Store di Colorado Street a Pasadena iniziò a rifornirsi di avocado da Hass: il negozio era frequentato dagli chef delle famiglie più abbienti del posto, che non potevano di certo farsi mancare un frutto così cool & healthy nel menu. Un vivaista professionista aveva aiutato Hass con gli innesti, suggerendogli di lasciare crescere un piccolo albero senza compiere ulteriori tentativi. Il suggerimento fu seguito alla lettera e funzionò. Dieci anni dopo, nel 1935, Rudolph Hass brevettava la varietà di avocado dandogli il suo nome, era la prima volta che veniva registrato un brevetto su un albero negli USA. Ne trasse profitto il vivaista Harold Brokaur, a seguito di un accordo che prevedeva che lui ottenesse il 75% dei guadagni dalla vendita di alberi di avocado. Hass aveva fatto male i conti, con gli innesti era facile per gli agricoltori “rubare” la sua varietà e riprodurla a oltranza. È davvero molto difficile, dopotutto, avere il “copyright” su una pianta. Dal suo brevetto, infatti, l’uomo guadagnò solo $ 4800 in totale. L’albero-madre della varietà Hass è vissuto per 76 anni, è stato tagliato nel 2002 a causa di un parassita che ne ha intaccato le radici, facendolo morire. Il “papà” della varietà, invece, è morto a 60 anni, continuando a lavorare per l’ufficio postale di Pasadena, pur continuando a produrre il popolare frutto. Il suo brevetto era scaduto esattamente un mese prima della sua scomparsa. Rudolph Hass di certo non avrebbe potuto immaginare che un giorno si sarebbe sviluppata una vera e propria ossessione nei confronti di questo frutto – ma l’articolo di giornale che aveva letto diceva in qualche modo la verità. L’apice è stato raggiunto nel 2017, anno che coincide con la massima espressione di stravaganza legata all’avocado: dai mac & cheese in versione green fino all’avolatte. Un latte (inteso all’americana: quasi cappuccino, con caffè e latte schiumato), servito dentro la buccia di un avocado. Una moda partita dalla Turchia, diventata vero e proprio fenomeno in Australia. I social, in questo, hanno avuto un contributo non da poco. Il frutto è altamente instagrammabile, chi non vorrebbe spendere anche 20$ per un avocado toast che rende bellissimo il feed di Instagram?


Foto di Federica Di Giovanni