La dieta del lottatore di sumo
L’accademia di Tomozuna è una delle scuole di sumo più prestigiose in assoluto: un lottatore di sumo in media consuma 8000 calorie, si allena tutti i giorni e mangia due pasti al giorno. Il regolamento prevede che i lottatori più giovani preparino i pasti per tutti, tra quelli più noti c’è il chanko-nabe, un piatto a metà strada tra la zuppa e lo stufato. Tra gli ingredienti più utilizzati ci sono carne di maiale, pesce, l’immancabile riso al vapore, sardine fritte o grigliate, daikon, carote, tofu, soia, patate, cipolle. I lottatori di sumo si concedono un sonnellino pomeridiano, dormire è importante per non consumare le calorie accumulate, visto che il loro sport dipende prevalentemente dal peso per lo spostamento del baricentro. Ma il peso crea anche problemi respiratori, per questo motivo i lottatori di sumo usano le maschere d’ossigeno durante la loro siesta. La vita dei lottatori di sumo è contraddistinta da numerose regole e sacrifici, infatti si tratta di una pratica che sta vivendo un forte periodo di crisi ed è sempre più in disuso. Gli aspiranti lottatori devono lasciare la scuola a 15 anni e frequentare il collegio in cui ogni singolo aspetto della loro vita viene regolamentato.
Sport nazionale del Giappone, il sumo si svolge sul dohyo, il ring di paglia sul quale si scontrano i pesanti lottatori, i rikishi, che indossano il mawashi, il particolare perizoma che tutti conosciamo. Il sumo non prevede lottatrici donne (a meno che non si tratti di quello amatoriale) e le regole del gioco sono piuttosto basiche, considerato anche che la nascita della pratica risale a molti secoli fa. Prima dell’incontro i lottatori seguono un rito scaramantico, lanciando il sale per prevenire infortuni sul dohyo.
Tutti gli sport, tendenzialmente, richiedono un alto apporto proteico, i wrestler si nutrono di molti carboidrati ed è diffusa la credenza per cui a colazione chi pratica arti marziali e derivati abbondi con le uova crude. In questi ultimi anni si è parlato spesso di crisi del sumo, la rottura della tradizione è avvenuta nel 2007, con la prima squalifica della storia di uno yokozuna (il massimo livello che può raggiungere un lottatore di sumo). Si trattava di Asashōryū Akinori, peraltro un giocatore proveniente dalla Mongolia. Anche se il sumo è stato uno sport dalla forte impronta nazionalista, nel corso del tempo non c’è stata abbastanza affluenza ed ha accettato anche l’ingresso di giocatori provenienti da altri paesi. Nel 2007 il primo scandalo che vide coinvolto Asashōryū Akinori, proseguito nel 2010, quando ha annunciato il ritiro dal mondo del sumo dopo aver rotto il naso a un uomo aggredito in un locale. Questo ha gettato nuova luce su una pratica durata per secoli, evidenziandone lo stile di vita insostenibile e i problemi di salute dovuti al peso dei lottatori. Nei giorni scorsi è emerso un altro scandalo, proprio in un periodo in cui il sumo stava cercando di rimettere in sesto la propria reputazione. In particolare dopo la morte del giovane Takashi Saito (Tokitaizan), un ragazzo di appena 17 anni che aveva tentato di scappare dall’heya, la scuola in cui si allenano i lottatori. Era il 2008 quando il ragazzo fu picchiato in testa con una bottiglia di birra e costretto a lottare molte volte, fino ad essere stremato e ormai incapace di stare in piedi. Takashi Saito, infatti, morì il giorno successivo e la versione ufficiale fu che a causare la sua morte fosse stato un attacco cardiaco – peraltro un problema piuttosto comune tra i lottatori di sumo. I genitori del ragazzo chiesero di portare avanti le indagini poiché erano state trovate ferite e bruciature di sigaretta sul suo corpo.
Il lottatore Harumafuji ha ammesso di aver aggredito un altro lottatore, più giovane di lui. Tutto è successo durante una serata in cui Harumafuji aveva alzato un po’ troppo il gomito e ha colpito il ragazzo in testa con una bottiglia di birra (a quanto pare è un’abitudine diffusa) e lo ha preso a pugni più e più volte, procurandogli diverse fratture e contusioni. Di questo caso si è parlato molto sulle tv nazionali, perché ha rimesso in cattiva luce lo sport proprio nel momento in cui finalmente stava ritrovando una sua collocazione e una certa popolarità. Il caso di Harumafuji ha suscitato molta indignazione perché, come nei casi precedenti, non ha nulla a che vedere con i valori che dovrebbero appartenere a questa disciplina, atti di bullismo furono denunciati anche nel 2009 da Hakuho. Negli ultimi anni sono stati apportati dei cambiamenti a tutela della salute dei lottatori, sempre a rischio per via del peso e tutte le conseguenze che ne derivano. L’aspettativa di vita di un lottatore di sumo, infatti, è di circa 10 anni più breve rispetto alla media della popolazione giapponese maschile.
Quello di oggi è un sumo completamente diverso da quello delle origini, che in realtà nasceva come rituale religioso di derivazione scintoista, per richiedere un raccolto florido e per onorare gli spiriti degli antenati. Il sumo tradizionale è fatto di rituali secolari, come lo Shiko, uno dei primi movimenti che si imparano nella scuola, che serve a scacciare gli spiriti cattivi dal dohyo. Uno dei rituali è anche quello della danza dell’arco, che avviene alla fine di un torneo. L’arco è simbolo di forza e vittoria, mentre la danza vuole simboleggiare felicità. In apertura avviene la cerimonia scintoista con la quale si chiede protezione agli dei. Un tempo religione di stato, lo scintoismo è una religione animista per la quale si venerano i kami, divinità spirituali. L’influenza di questa religione sulla società giapponese è evidente, infatti i rituali che vengono messi in atto durante i tornei di sumo sono tutti scintoisti. Spiegare il concetto di kami non è facile, perché ogni cosa della natura può essere una manifestazione di queste divinità, che sono anche classificabili; ci sono demoni, spiriti zoomorfi o antropomorfi. Sia i kami che lo spirito umano sono eterni, questa religione non contempla l’esistenza di un altro posto in cui finisce l’anima dopo la morte ma parla di un livello esistenziale superiore. Esiste anche una dea/kami del cibo, il suo nome è Uke-Mochi, secondo alcuni era anche la moglie di Inari, dio del riso. La mitologia, nella sua versione più diffusa, narra che la dea del sole Amaterasu mandò il fratello, il dio della luna Tsukuyomi , in sua rappresentanza al banchetto organizzato da Uke-Mochi. Nonostante l’impegno della dea del cibo nel creare uno squisito banchetto, il dio della luna non apprezzò affatto le pietanze. Al posto di Tsukuyomi, probabilmente, chiunque si sarebbe offeso, considerando che Uke-Mochi produsse il riso tossendo dopo aver rivolto lo sguardo a una risaia e il pesce sputando, dopo aver guardato l’oceano. Il dio della luna, indignato, decise di uccidere Uke-Mochi con la sua spada, ma dopo la sua morte il corpo della dea continuò a produrre cibo e animali. Al suo ritorno dalla sorella, Tsukuyomi raccontò l’accaduto e la fece infuriare. Da allora la luna e il sole non furono più visti insieme.
Foto di Federica Di Giovanni
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