Benvenuti al Freak Show
“Signori io non vi ho mentito, avete visto coi vostri stessi occhi i mostri viventi del nostro serraglio. Voi ne avete riso o provato ribrezzo, tuttavia se lo avesse voluto la natura beffarda, anche voi potreste essere come loro. Non hanno chiesto loro di venire a questo mondo, eppure sono qui tra noi. Si riconoscono in un codice che nessuno ha mai scritto. Offendetene uno, e si sentiranno offesi tutti quanti”.
(Freaks – Tod Browning, 1932)
Il circo suscita sempre reazioni contrastanti: c’è chi ne è attratto, chi proprio non lo sopporta e chi, nel vedere un tendone, prova un po’ di inquietudine. Un tendone da circo, però, attira sempre l’attenzione, nel bene o nel male. I più piccoli sono attratti dalle meraviglie e gli spettacoli che si nascondono al suo interno, pronti a prendere vita sulla pista circolare; gli adulti, nel vederlo, tornano un po’ bambini.
Il circo esiste da lungo tempo e si è evoluto nel corso dei secoli. Da spettacolo prevalentemente equestre alle esibizioni dei gitani con gli animali ammaestrati fino allo show vero e proprio, costituito da vari momenti e varie arti. L’immagine del circo più diffusa è quella di carovane itineranti e un tendone colorato. Il fascino del circo e dei circensi è stato spesso fonte d’ispirazione in ambito cinematografico. Nel caso di Federico Fellini, per esempio, ha influenzato enormemente la sua carriera e di chi a sua volta si è ispirato al regista de “La strada”. Il circo è stato rivisitato in chiave horror, romantica e qualsiasi genere cinematografico poiché la percezione cambia in base all’occhio di chi lo osserva.
Si tratta di un luogo dove si mescolano il profumo dei popcorn scoppiettanti e quello dolce dello zucchero filato, un tempo l’arrivo del circo in città era una buona occasione per concedersi uno “sgarro”. Di fatto, il circo è una distrazione ed è a lungo stata una delle poche accessibili anche alle classi meno abbienti. Giovenale aveva scritto quella che poi divenne la celebre espressione “panem et circenses”. Nell’antica Roma i politici si accaparravano la benevolenza delle fasce di popolazione più povere distribuendo loro grano e organizzando spettacoli – come le lotte tra gladiatori – che distoglievano l’attenzione da problematiche più importanti. Una scelta demagogica che oggi ha cambiato forma ma che risulta ancora efficace. Non ci saranno i combattimenti al Colosseo ma la tv fa ancora il suo dovere. Nella definizione di Giovenale il cibo, ancora una volta, è un elemento di distrazione, nella fattispecie diviene comfort food di massa per placare, almeno per un po’, gli animi. Cibo e circo sono strettamente collegati, poiché non c’è intrattenimento che non contempli anche qualcosa da sgranocchiare. A volte il cibo può essere anche funzionale allo spettacolo stesso e può essere una spada o del fuoco per sbalordire la platea.
La rivoluzione di Barnum
Una delle figure più importanti per il circo è stata quella di Phineas Taylor Barum, l’uomo che, tra mille polemiche, rese pop i cosiddetti “fenomeni da baraccone”. Nel 1872 Barnum allestì quello che rinominò “Il più grande spettacolo del mondo” (sul quale è stato realizzato il musical con protagonista Hugh Jackman). Barnum era un incantatore di folle, girava alla ricerca di personaggi che suscitassero stupore, talvolta orrore. Aveva raccolto le sue “scoperte” nell’American Museum e allora, come anche prima di lui, il circo e i freak show continuavano ad essere l’unico mezzo di sostentamento per persone affette da disabilità. Le stranezze, soprattutto le più rare, venivano date in pasto al pubblico, disposto a pagare anche a costo di inorridire. Emblematica è la storia de “l’uomo elefante” Joseph Merrick, la sua vita è stata raccontata nel film di David Lynch in cui è impersonato da John Hurt. La storia di Merrick, così come quelle di molti altri suoi “colleghi”, è straziante ma al contempo rappresentativa di quanto i freak show siano stati il simbolo del diverso lasciato ai margini della società per essere deriso e maltrattato. L’argomento della diversità è stato affrontato più volte anche in ambito cinematografico, come in “Big Fish” di Tim Burton (che omaggia Fellini) o in chiave semi-horror in “American Horror Story: Freak Show”, un omaggio continuo al capolavoro “Freaks”. Tod Browning realizzò all’inizio degli anni Trenta quello che oggi è considerato uno dei film più importanti della storia del cinema, in particolare per l’audacia che ebbe nel proporre un argomento così delicato a un pubblico che ancora non era pronto ad accettare il diverso, se non considerandolo una semplice attrazione e non un essere umano alla pari. I freak show ebbero molta popolarità a partire dall’Inghilterra e dai leggendari fratelli Lazzaro e Giovanbattista Colloredo.
Nei suoi spettacoli, tra la sirena delle Fiji, nani, persone affette da microcefalia e albini, Barnum mescolava la realtà alla finzione, costruendo le storie in modo tale che i personaggi risultassero sempre circondati da un alone di mistero e da un tocco di esoticità. Un po’ come il sonnambulo capace di predire il futuro de “Il gabinetto del Dottor Caligari”, film-simbolo dell’espressionismo tedesco diretto da Robert Wiene nel 1920. I freak show erano fatti di intrattenimento che divertiva anche persone di alto rango, come regine e presidenti, che trovavano un diversivo alla noia osservando personaggi di rara stranezza. Allora perfino avere molti tatuaggi poteva rivelarsi materiale buono per montare uno spettacolo. Tra le altre stranezze c’era il digiuno prolungato, praticato da molte donne che, per periodi più o meno lunghi, annunciavano di aver rinunciato del tutto al cibo (non sempre si rivelava vero) e facevano toccare il loro corpo, ormai ridotto a pelle e ossa, al pubblico più curioso. Attiravano così l’attenzione di molte persone ricche, disposte a pagare per vederle da vicino e scoprirne i segreti e, se necessario, per farle visitare dai medici. Una performance à la Marina Abramovic, prima che fosse considerata un’arte. I freak show, prima della loro abolizione, erano visti positivamente poiché erano considerati una possibilità d’impiego per gente che non avrebbe avuto altre opportunità. Non si teneva conto delle condizioni in cui queste persone erano costrette a vivere per il solo profitto di chi, di fatto, le possedeva. Per esempio, potevano essere facilmente rimpiazzati all’arrivo di un fenomeno più attrattivo per il pubblico. È quanto accade ne “La ballata di Buster Scruggs” dei fratelli Coen. Nell’episodio “Meal Ticket” il ragazzo senza gambe e senza braccia ribattezzato “tordo senza ali” viene rimpiazzato da un pollo capace di fare i conti.
Le freak c’est chic
Il film “Freaks” del 1932 diretto da Tod Browning ha un’importanza da non sottovalutare, sia dal punto di vista cinematografico che etico. Per la prima volta, in un’epoca in cui di certo c’era ancora molto lavoro da fare per sensibilizzare sul tema della disabilità, qualcuno dava voce ai freaks, agli emarginati, gli outsider. E lo faceva in maniera troppo violenta e disturbante per il delicato e sensibile pubblico dell’epoca, qualcuno dichiarò perfino che durante una delle proiezioni una donna abortì a causa delle scene troppo forti. Browning si rivelò tanto folle quanto all’avanguardia nella sua scelta. Veniva dall’enorme successo di “Dracula” con Bela Lugosi e non avrebbe potuto immaginare l’impatto che il suo film avrebbe avuto nel futuro e che, invece, nell’immediato presente avrebbe segnato la fine della sua carriera. La MGM, che produsse il film, aveva già mal digerito la presenza dei fenomeni da circo sul set, mescolati alle persone “normali”. Gli attori di “Freaks”, infatti, vennero tenuti in disparte, perché creavano fastidio al resto delle persone presenti in produzione. Per la prima volta il pubblico scopriva che anche i fenomeni da baraccone erano persone, che avevano sentimenti positivi e negativi anche oltre le luci, il trucco e le gag dei loro spettacoli. Il pubblico che se ne stava dall’altra parte, comodamente seduto in sala, scopriva il suo lato peggiore, quello di chi aveva a lungo riso degli altri sentendosi migliore. Browning, che era cresciuto a pane e circo, li metteva di fronte a una realtà scomoda e poneva quesiti sempre attuali: cos’è la normalità? Chi può essere considerato normale e chi no? E in base a quali criteri?
Oggi non ci sono i freak show itineranti ma esistono programmi televisivi che fanno di stranezze e disabilità uno spettacolo, nel tentativo di normalizzare qualcosa che, ripulita dalle ipocrisie del caso, non verrà mai percepita come tale. In “Freaks” Browning mostrava dei protagonisti vendicativi e la loro impossibilità di essere inclusi nella società. Nel suo film il concetto viene ribaltato e proposto al contrario nella famosa scena della tavolata del matrimonio tra Hans (Harry Earles) e Cleopatra (Olga Baclanova). È la scena più emblematica del film, ripresa e citata più volte in altre opere, in cui il cibo è convivialità, unisce e può modificare i rapporti. A parti invertite, qui sono i freaks ad accettare l’ingresso della bella (e normale) trapezista Cleopatra nella loro cerchia, al grido del citatissimo “Una di noi! Una di noi!”. La donna camuffa tutto sotto la sua bellezza e trama con il forzuto Ercole (Henry Victor) per rubare i soldi di Hans. Browning invia il suo chiaro messaggio a coloro che si fanno promotori della bellezza senza saperla vedere davvero, basandosi prettamente sull’estetica come se equivalesse a bontà d’animo. Questa è, infatti, una caratteristica che Cleopatra non possiede e tenta di ingannare il povero Hans, accecato dall’amore. La vendetta dei freaks sarà atroce e il confine tra normale e anormale rimane labile: il vero freak, qui, rischia di essere colui e colei che si professa sano. “Freaks” è un film sulla natura umana, in cui le disabilità dei protagonisti fungono solo da pretesto e il cui significato va ben oltre la deformità fisica. Chi è, allora, il vero freak tra noi?
Foto di Federica Di Giovanni
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