Coffee walk with me: cibo e caffè nel mondo di David Lynch
Non dite che a guardare Dale Cooper con la sua tazza di caffè in mano non vi viene subito voglia di berne una, perfino se il caffè non lo bevete mai. E non dite che non pensate immediatamente che accanto alla tazza di caffè starebbe benissimo anche una fetta di torta di ciliegie o, male che vada, di mirtilli.
Con “Twin Peaks” David Lynch e Mark Frost hanno dato vita a una vera e propria passione per il caffè e il cibo, esistono libri, forum e ricettari per emulare l’universo creato dal regista negli anni Novanta, ora pronto a ritornare a 25 anni di distanza con una terza stagione della serie. Cherry pie, doughnuts di tutti i tipi, il caffè nero, il Double R Diner di Norma Jennings, guardando le opere di Lynch viene da chiederselo in maniera del tutto spontanea: tutto questo caffè e questo cibo vorranno dire qualcosa?
I riferimenti al cibo sono molti anche nel resto della filmografia del regista, che nel 1977 diresse il suo primo film, “Eraserhead – La mente che cancella“, un horror molto apprezzato da Stanley Kubrick. Talmente inquietante che sul set di “Shining” costringeva il cast a vederlo per raggiungere la giusta dose di angoscia e tensione, necessaria per le atmosfere dell’Overlook Hotel. Ma questa è un’altra storia. Nell’opera prima di David Lynch assistiamo a molte scene macabre, il protagonista vive cene ripetitive alla presenza della moglie e un figlio deforme, cult è la scena del pollo che sanguina, il cibo prende vita ma non si tratta di una caricatura divertente, a mo’ di cartone animato. Tutt’altro. C’è chi cerca il simbolismo in ogni cosa che Lynch sforna. All’epoca di “Eraserhead” il regista si stava avvicinando al mondo della meditazione trascendentale, in questo suo film horror, onirico, distorto e macabro, c’è chi vede una critica alla società in generale, alienante e disumanizzante. C’è poi un altro elemento ricorrente in alcune opere di David Lynch, il diner. Vero e proprio simbolo dello stile di vita dell’americano medio, omaggiato anche da Quentin Tarantino, il diner appare in “Twin Peaks” ma anche in “Mulholland Drive“. Nel film Herb e Dan si trovano al Winkie’s Diner davanti una colazione abbondante, che però non consumeranno. Simbolismo anche questo? Una critica allo stile di vita americano o semplice espediente narrativo? Difficile dirlo, quando si tratta di Lynch, ma c’è da ricordare che il regista stesso è un grande fan del diner. Per sette anni, ogni giorno, è andato a pranzare al Bob’s Big Boy, una catena di diner famosa per gli hamburger.
Oltre alla colazione e al caffè, che scorre a litri, in “The Elephant Man” (1980) troviamo il té, lo beve John Merrick (John Hurt), a.k.a. L’uomo elefante, quando il Dr. Treves (Anthony Hopkins) lo porta a casa sua e gli fa conoscere la moglie. Il té, considerato il contesto, ha una forte valenza sociale. Treves cerca di aiutare Merrick a non essere considerato un freak, insegnandogli il linguaggio e i modi della borghesia. I freaks sono uno dei tanti elementi ricorrenti nella filmografia di Lynch, basti pensare alla Loggia Nera di “Twin Peaks” e al Nano (The Man from another Place), che insieme agli altri spiriti della loggia si nutre di garmonbozia. L’etimologia della parola è ancora tutta da discutere, ma si tratta di qualcosa di simile al mais di cui si nutre anche Bob, e che appare tra le mani di Dana quando consegna i pasti a domicilio alla signora Tremond e al nipote. Il mais è una citazione che torna in più occasioni, anche Laura Palmer in “Fuoco cammina con me” parla del granoturco, in “Una storia vera” (1999) si vedono campi sconfinati ma tornando alla Loggia, pare sia la rappresentazione tangibile del cibo degli spiriti, che si nutrono di dolore e sofferenza. Non a caso il mais aveva un valore simbolico nelle civiltà precolombiane, era un simbolo di vita e veniva usato in rituali che richiedevano sangue e sacrifici umani e con tutto questo David Lynch ci va a nozze. Inserisce qualcosa di simile alla polenta anche in una scena piuttosto forte di “Eraserhead“, a questo punto viene da chiedersi se il cibo venga utilizzato davvero con valenza simbolica o se abbia solo un impatto estetico. Simbolismo o semplice stream of consciousness?
Alcuni film di Lynch sono difficili da digerire e da comprendere, la via del simbolismo sembra la più semplice da percorrere e potrebbe essere una giustificazione per chi non vuole fare troppi sforzi mentali. Potrebbe esserlo anche per David Lynch stesso, un espediente per non dare troppe spiegazioni e mantenere la propria libertà espressiva. David Foster Wallace ha definito come “lynchiano” l’incontro tra ciò che è macabro e ciò che è mondano, è probabile che su questa base sia il regista stesso a voler giocare con le menti dei suoi spettatori, prendendosi sì la libertà di esprimersi ma lasciando agli altri quella di interpretare, riducendo al minimo le sue responsabilità ed eliminando ogni tipo di “doverizzazione” nei confronti del pubblico. È comunque risaputo che la tendenza dello spettatore è quella di andare a ricercare significati nascosti anche laddove non esistono. Per esempio, secondo alcuni la passione per il caffè di Dale Cooper sarebbe una denuncia velata all’industria del caffè. È più probabile che Lynch abbia scelto di dare determinate caratteristiche al personaggio o che voglia omaggiare quel “damn good coffee” del quale si è parlato tanto. La critica all’industria rimane un’ipotesi instabile, soprattutto considerando che lo stesso Lynch ha creato un marchio di caffè organico tutto suo. Il regista è un estimatore di cibo in generale: ha realizzato un video di 20 minuti per spiegare come cucinare la quinoa, rivelando tutta la sua maniacalità. Spiega il tipo di pentola da usare, la consistenza che deve avere, la temperatura dell’acqua. Nella filmografia di Lynch c’è una cosa che appare molto chiara: c’è tutto e il contrario di tutto (il linguaggio nella Loggia, per fare un esempio). David Lynch ama la rappresentazione dell’onirico, della deformità e non solo quando è fisica, sceglie sempre il dualismo ma, nel caso del caffè, più che simbolismo e proteste subdole, si scorge solo una grande passione. Lui stesso, in un’intervista rilasciata a Vice, ha ammesso il suo amore per la bevanda. Ha raccontato di averlo bevuto per la prima volta quando aveva tre anni, perché gli è sempre piaciuto l’odore della tostatura. Ha le idee chiare su come dev’essere un buon caffè e a casa tiene una macchina La Marzocco per prepararsi un espresso fatto bene: non deve avere note di amarezza, lo macchia con un po’ di latte. Se l’amore di Dale Cooper per il caffè nero bollente è stato uno spunto per gli spot giapponesi del Giorgia Coffee, le idee non sono mancate nemmeno per il David Lynch Signature Coffee. La figlia del regista, Jennifer Lynch, ha realizzato un assurdo spot a metà strada tra il punk e un film di fantascienza tedesco datato, con l’immancabile tocco noir, confermando in video l’influenza genetica. Nel corso della sua carriera David Lynch ha ammesso di sentirsi molto vicino al surrealismo, anche se un’etichettatura vera e propria per il suo stile non c’è, a parte l’utilizzo dell’aggettivo “lynchiano”, che sembra più appropriato. Per il suo marchio di caffè ha dato conferma del suo essere eclettico e stravagante realizzando uno spot di 4 minuti in cui inquadra la testa di una Barbie che tiene tra le mani mentre borbotta e conversa con lei in maniera inquietante e, ovviamente, parla di caffè. Di cos’altro si dovrebbe parlare?
Foto di Federica Di Giovanni
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