È sempre colpa del maggiordomo
Nella letteratura – nel genere giallo in particolare – è diventato un vero e proprio cliché e solitamente è il primo indiziato quando c’è di mezzo un delitto. La figura del maggiordomo è sempre molto discreta, dev’essere un uomo (più raramente una donna) capace di cogliere le esigenze del padrone, saperlo accontentare sotto ogni punto di vista. Si tratta, quindi, di una figura molto versatile, che deve saper preparare un’ottima colazione proteica e al contempo saper combattere, come l’Alfred Pennyworth di “Gotham“. Quello dei fumetti di Batman è forse il maggiordomo più popolare in assoluto insieme a Lurch de “La famiglia Addams“. Non tralasciamo, poi, il proverbiale Ambrogio dello spot dei Ferrero Rocher, diventato ormai un vero e proprio sinonimo del termine “maggiordomo”. Questa figura, come già detto, deve saper gestire quante più cose possibile, deve conoscere molto bene il galateo, i vini, saper organizzare eventi impeccabili e, cosa non da poco, conosce spesso tutti i segreti della casa e dei suoi abitanti. Proprio per questo motivo, per la sua presenza assidua, in un giallo si trasforma nell’indiziato numero uno. Sempre silenzioso, ascolta tutto e questo gli conferisce un potere non indifferente sulle dinamiche della casa in cui lavora. Può, per esempio, avvelenare facilmente un pasto. Avete presente “la crema di crema alla Edgar” de “Gli Aristogatti“?
Dalla Casa Bianca alla Transylvania
Uno dei maggiordomi più famosi è senza dubbio Eugene Allen, il primo afroamericano a raggiungere questa importante posizione alla Casa Bianca. Su di lui è stato girato un film, “The Butler“, che racconta del percorso che lo portò a servire fedelmente ben otto Presidenti americani. Allen iniziò a lavorare a Washington come lavapiatti per poi raggiungere il ruolo più importante nell’ambito della servitù della Casa Bianca. La sua è stata un’importante storia di riscatto, iniziata nella Virginia della segregazione, in cui sembravano esserci poche speranze per una persona di colore. Discreto anche dopo essersi ritirato, Eugene Allen è stato invitato da Barack Obama in occasione del suo insediamento, un evento storico che l’ex maggiordomo della Casa Bianca aveva atteso per molto tempo insieme alla moglie, che purtroppo non è riuscita ad assistervi. Invitato come ospite d’onore nello stesso luogo in cui aveva servito gli uomini più potenti del mondo, Allen fu scortato da un picchetto dei Marines. Una delle storie più celebri della sua lunga carriera riguarda la famiglia Kennedy. Quando J. F. Kennedy fu ucciso, Allen fu invitato al suo funerale ma decise di rimanere alla Casa Bianca per svolgere le sue normali funzioni, in modo da poter accogliere adeguatamente la famiglia al suo ritorno. In segno di gratitudine, Jacqueline Kennedy gli regalò una cravatta del marito, che Allen volle incorniciare.
Il maggiordomo è un importante consigliere e spesso un valido assistente. Come l’inquietante Riff Raff, il “faithful handyman” di “The Rocky Horror Picture Show“. L’insidia è sempre dietro l’angolo e bisogna calibrare bene i segreti da rivelare, perfino all’assistente più fidato. La figura di Riff Raff è molto simile a quella di Igor di “Frankenstein Jr.“. Gobbo, basso e impacciato, Igor (si pronuncia Aigor), è lo stereotipo dell’assistente di fiducia dello scienziato pazzo, che sta bene in un castello da racconto dell’orrore, come potrebbe essere anche quello di Dracula. Tuttavia il cliché del maggiordomo colpevole è meno cliché di quanto si possa immaginare. Nel giallo deduttivo, infatti, si attende sempre che in seguito ai sospetti su questa figura l’attenzione si sposti – con un colpo di scena – su una figura ancor meno sospettabile. Tutto è iniziato con Mary Roberts Rinehart e il suo “L’incubo” (The Door, 1930), infatti è a lei che viene attribuita la frase “è stato il maggiordomo!”, sebbene non sia esattamente scritta così nel libro. Anche Agatha Christie si è avvalsa di questo cliché, sfruttandolo nei suoi romanzi, come in “Tragedia in 3 atti“. C’è poi il sospettabilissimo Rogers di “Dieci piccoli indiani“: attraverso l’enigma della scatola chiusa i protagonisti delle storie sospettano immediatamente del maggiordomo. Si tratta di uno dei libri più celebri della Christie e questo cliché viene sfruttato anche in numerose parodie, come nell’episodio “E alla fine furono di meno”, de “I Griffin“. Nel libro dell’autrice inglese Rogers è molto apprezzato per le sue abilità culinarie e, nonostante la serie di delitti, i protagonisti sono spesso preoccupati del cibo, distraendosi da problemi ben più gravi. Un bravo maggiordomo come Rogers, assistito dalla moglie, provvede però sempre a tutto, anche a fare le scorte nel caso in cui il mare in tempesta non permettesse di spostarsi per qualche giorno da una sperduta isola britannica. Il Rogers della Christie oggi si chiamerebbe, per essere più cool, house manager.
Come nasce il termine e come si evolve il ruolo – da Alfred allo smart speaker
In inglese il maggiordomo si chiama “butler“, deriva dal francese “botellier”, ovvero colui che si occupava della gestione della cantina del Re. Nel Medioevo, infatti, si occupava principalmente delle riserve alcoliche in genere, che erano preziosissime. L’incarico, prima di allora, era stato svolto prevalentemente da schiavi. Col passare dei secoli, per usare un altro termine cool, il maggiordomo si è evoluto, facendosi via via sempre più multitasking. Il termine che utilizziamo in italiano, invece, deriva dal latino “maior domus”, il servo principale della casa. Questo ruolo richiede un grande spirito di adattamento e capacità di problem solving elevatissime – altro che Mr. Wolf. Oltre alla gestione della casa deve sapersi destreggiare tra gli impegni del padrone, conoscere a menadito galateo, mise en place e avere uno spiccato buon gusto, ça va sans dire. Deve essere, in sostanza, un po’ Alfred Pennyworth. Come dicevamo, è uno dei più celebri maggiordomi della cultura popolare. La sua prima comparsa nel fumetto della DC risale al 1943. Alfred ha seguito l’accademia per maggiordomi in Brasile – non è fiction, le accademie esistono davvero, ce n’è una anche in Italia, nel caso in cui qualcuno volesse intraprendere questa carriera. Il buon Alfred, abilissimo ai fornelli, ha sviluppato la sua cultura anche in ambito medico, teatrale e letterario. Dopo la morte dei coniugi Wayne si occupa della formazione del giovanissimo Bruce, un Batman in erba. Alfred, infatti, è fondamentale nella definizione dell’identità del supereroe.
Completamente diversa è, invece, la figura del maggiordomo Niles della serie televisiva “La tata“. Daniel Davis interpreta il ruolo di un uomo cinico ma al contempo divertente, amatissimo dal pubblico. Essendo una figura onnipresente, il maggiordomo instaura spesso un legame molto stretto con il padrone e gli altri abitanti della casa. William Hogarts ha dipinto la sua servitù nel quadro “Heads of six of Hogarth’s Servants“, oggi conservato alla Tate Gallery di Londra. Dipinse il ritratto per puro diletto, forse facendosi ispirare da un legame affettivo. Il maggiordomo nella cultura popolare appare una figura molto educata e raffinata, solitamente con accento british; che sia un cinico Niles o il Nestore de “Le avventure di Tintin“, rimane un ruolo che affascina sempre. Come dimostra la serie di dipinti “The Butler’s Love” di Mark Stock. I quadri mostrano diversi maggiordomi accomunati dallo stesso stato d’animo: stanno soffrendo per amore ma, come richiede il loro ruolo, lo fanno in solitudine e in silenzio.
Nel Medioevo il maggiordomo era detto anche Maestro di palazzo e no, non si limitava a lucidare l’argenteria. L’evoluzione massima di questo ruolo avvenne ai tempi dei Merovingi, quando il Maestro di palazzo era un uomo molto influente. Si occupava, in sostanza, della vita amministrativa del regno, era una sorta di diplomatico che si destreggiava tra giochi di potere piuttosto che tra cantine e dispense. Basti pensare a Pipino Il Breve, padre di colui che divenne l’Imperatore Carlo Magno. La sua vita fu molto movimentata e fu Maestro di palazzo di Nestria e d’Austrasia prima di diventare Re dei Franchi, proprio grazie alla sua influenza. Tolta la divisa, oggi il maggiordomo può essere perfino digitale. Da un piccolo pod appoggiato su un tavolino, il cosiddetto assistente intelligente può regolare la temperatura della casa, controllare tramite videocamera cosa succede in un’altra stanza, fare la lista della spesa, accendere o spegnere le luci. Non lo troverete con un bicchiere in mano, intento a soffrire nel silenzio della sua camera per essere stato lasciato, ma attenzione a non cadere nella trappola del fascino della tecnologia. Un po’ come è accaduto a Marge Simpson in “Robot dolce casa” (un episodio de “La paura fa novanta XII”), che perde la testa per il “maggiordomo digitale” che ha reso la sua casa completamente robotizzata. Ma come darle torto, aveva la voce di Pierce Brosnan.
Foto di Federica Di Giovanni
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